Credo che il professor Angelo Antonini abbia colto la mia esitazione quando al telefono mi ha annunciato radioso che un suo paziente, operato da nemmeno sei mesi al cervello, sarebbe andato a Roma in biciletta! Il professore mi spiga che Lorenzo Sacchetto è un valoroso, non uno spavaldo: «Quello di Lorenzo non è un gesto d'impulso: si è consultato, si è fatto visitare, si è sottoposto agli esami ed è venuto da me con gli esiti favorevoli. Intanto non ha mai smesso l'allenamento quotidiano, anzi, in questi mesi si è preparato in modo continuo, ha fatto le prove, ha pianificato i tempi, ha steso un programma

Il mio diavoletto bisbiglia: «ma a quaranta gradi sarà come attraversare la Death Valley»; la Valle della Morte di tanti film, dove i protagonisti incontravano solo teschi di chi aveva tentato l'impresa prima di loro. Nonostante le rassicurazioni, mi chiedo perché un valente neurologo incoraggi un paziente a seguire una simile fantasia invece che invitarlo a starsene al fresco. Lo spiega in un'intervista il mitico Sebastian Bloem: «Il Parkinson è la malattia neurologica che cresce più velocemente e non c'è cura che la faccia regredire.  Ma l'esercizio fisico quotidiano funziona come un farmaco: è capace di ridurre i sintomi motori e anche non motori; aiuta a migliorare l'umore e la qualità del sonno; combatte l'osteoporosi. Mentre non si sono ancora scoperti farmaci in grado di rallentare la progressione del Parkinson, ci sono studi scientifici entusiasmanti secondo i quali l'esercizio fisico costante, intenso e rigoroso – forse – può farlo».

Insomma, quello di Lorenzo è come un trial in cui lui pedala per tutti noi.

Lorenzo ne è consapevole e lo racconta in una lettera che ha scritto agli amici: «Il Parkinson mi ha cambiato la vita, ma non è riuscito a portarmi via il coraggio e la forza di volontà. Quelli, con l'aiuto di Raffaella (moglie e caregiver), sono riuscito addirittura a rafforzarli». L'intervento «mi ha rimesso in piedi. Tuttavia è necessario trovare elementi di stimolo continuo per reagire alla malattia, all'isolamento, alla solitudine, alla vergogna e allo stigma. Con la forte complicità di mia moglie, ho   deciso di programmare un pellegrinaggio a Roma, in visita alla tomba del Santo Giovanni Paolo II e una visita al Santo Padre Francesco Bergoglio.  Dal Papa arriverò in bicicletta, dopo aver pedalato per otto giorni, percorrendo oltre 500 chilometri. Questo è quello che mi ero prefissato se fossi uscito indenne dal delicato intervento».

A inchiodare Lorenzo alla sua promessa, come scrive lui stesso: «ci sono ragioni forse ancora più importanti. Da un lato ho condiviso la passione ciclistica di mia moglie Raffaella che è anche la mia accompagnatrice, nella vita come nella biciclettata verso Roma. Non un'accompagnatrice qualunque, ma la mia "caregiver", la familiare "curante", la persona più importante per garantire a chi ha il Parkinson di gestire una lunga vita di qualità. Dall'altro lato, per non farmi travolgere dal Parkinson, debbo coltivare nuovi interessi e le vecchie passioni. Prima dell'operazione, stavo rinunciando alla bicicletta per la pericolosità che comporta una malattia che ti fa perdere l'equilibrio, che ti blocca, che ti costringe a movimenti incontrollati... Ma l'operazione mi ha consentito di tornare sul sellino e la medicina mi ha convinto che la bicicletta può aiutarmi a combattere il Parkinson e a vivere.

Si tratta di un insegnamento molto importante che voglio mettere a disposizione... dei miei colleghi di sventura».

Grazie Lorenzo, ci sei già riuscito.

Giangi Milesi

La pedalata di Lorenzo e Raffaella fino a Roma diventerà la 44esima storia di resistenza al Parkinson della campagna #NonChiamatemiMorbo


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